martedì 30 settembre 2014

La Zia vs. il Minestrone

“Zia Donatella è proprio un donnone imponente e tarchiato” mi ritrovo a pensare mentre scruto oltre la tavola apparecchiata la mia unica zia che spignatta tra i fornelli del cucinino. “E’ proprio tozza” medito con una vena di sadica allegria. Dal mio posto al tavolo da pranzo riesco a vedere solo il suo bitorzoluto sederone che striscia tra la cucina e il minuscolo tavolo senza lasciare spazio neanche per un filo d’aria. Non so se i mobili della cucina sono sempre stati blu o è la mia angoscia che si espande a tinte vivaci. La studio come si farebbe con un insetto al microscopio: due occhi lucidi e tondi come due palline da golf sono incastonati in un volto squadrato, brutto quanto quello di una tartaruga vecchia e morente. L’intricata rete di rughe che attraversa ogni centimetro di pelle floscia e le protuberanze di grasso su ogni parte del corpo non aiutano di certo a rendere il suo aspetto più gradevole. E’ opinione comune che il suo aspetto fisico sia specchio della sua anima arida come il deserto. L’aura oscura che la circonda emette malvagità a fiotti costanti e ravvicinati, respingendo ogni amichevole tentativo di avvicinamento da parte di chicchessia. L’unico essere vivente che sembra non suscitarle fastidio o noia ha quattro zampe e cinque centimetri di pelo. Paco è un banalissimo meticcio per una buona percentuale della popolazione di Grezzano sul Gingillo; per la zia è ciò che più si avvicina al concetto di divinità in Terra: il nuovo Messia.
Gli attribuisce intenzioni, azioni, parole, miracoli che un cane sprovvisto di pollice opponibile, come lo è Paco, non potrebbe mai neanche immaginare. In effetti l’unica intenzione che potrei attribuire a Paco è quella di spazientirmi fino allo sfinimento.
Ho ormai imparato a sopprimere gli istinti omicidi quando alle quattro e mezza del mattino, decide di dare sfogo al suo lato più selvaggio mettendosi ad ululare alla luna come un lupo mannaro. Quante volte ho sognato di avere una pistola carica di proiettili d’argento sotto al cuscino… Ma in questo momento Paco è l’ultimo dei miei problemi, mi rendo conto osservando la zia mescolare la brodaglia verdognola che servirà a breve per cena. Per l’ennesima volta.
« Qualcosa di caldo… la sera… » dice appagata spiando con la coda degli occhi la mia espressione. Rimango impassibile mentre un moto d’odio mi attraversa le membra. Si tratta di un rituale quotidiano: che ci siano due o trentacinque gradi la zia è dell’opinione che qualcosa di caldo, la sera, faccia sempre bene. Scruto con disprezzo la sbobba melmosa che mi sta sbattendo con malcelata soddisfazione nel piatto, ma non oso dire niente. Se anche emettessi un solo fiato mangerei minestrone per tutta la settimana a venire. A volte tendo infatti a sottovalutare l’indole gratuitamente perfida della zia e mi ritrovo a dover fare i conti con  la sua sottile spietatezza. Come quando mi è scappato che non vado pazza per pesce e piselli e per tre giorni non ha fatto altro che cucinare… pesce in umido e piselli. Meglio far finta di niente e fingere commozione e gioia per le verdure surgelate.  Impugno il cucchiaio come farei con un coltello da macellaio e accoltello la mia cena. « Mmm…» commento in tono neutro. Ma la zia non mi sta prestando attenzione, intenta com’è a sminuzzare in frammenti microscopici la “svizzera” che ha cucinato appositamente per il cane. Il fatto che debba quasi frullargli la carne per me costituisce una dei più grandi misteri che avvolgono la figura della zia. Paco è capace di sgusciare una noce e mangiarla con il solo ausilio delle zanne e lei si preoccupa che si strozzi con un po’ di carne. “Taglialo! Che poi si soffoca!” abbaia ogni sera, quando mi becca a rifilargli i rimasugli di cibo che non riesco più a mandare giù.
« Beh? A che ora torna Quell’altra? » mi chiede la zia con falsa noncuranza  mentre si strizza tra il tavolo e lo schienale della sedia, incastrando il sederone come un parallelepipedo di Tetris.
« Non so a che ora tornerà Berenice>> calco bene l’ultima parola nella speranza che a furia di sentirlo ripetere impari finalmente almeno uno dei nostri nomi. Berenice, o altrimenti conosciuta come Quell’altra,  è la mia compagna di sventure, cugina di primo grado e coinquilina. Ci siamo trasferite qui dalla zia da meno di un anno per poter studiare all’Usina, una delle più illustri università del Paese... E non c’è giorno che non rimpianga di non essermi piuttosto arruolata nell’esercito israeliano o di aver intrapreso la carriera del muratore. E invece mi trovo qui, a respirare ogni giorno aria pregna di malcelata ostilità e terrorismo psicologico, a mostrare costante gratitudine alla donna che non fa altro che rendere la mia vita invivibile per il puro piacere di farlo.

Mi lascio andare ad un sospiro sofferto mentre accosto il cucchiaio alle labbra. Spero ogni santissimo giorno in un’improvvisa mutazione genetica del minestrone, qualcosa che lo privi di quel saporaccio di piedi. Speranze vane, rabbrividisco  nel momento in cui la zia dà inizio al suo personale concerto di schiocchi e risucchi. Come se avesse appena soffiato dentro un fischietto ad ultrasuoni, Paco giunge sculettando come una prima donna. Ho appena il tempo di roteare gli occhi al cielo ed ecco che inizia il solito “Eeee cìcìcìcìcì, ciccino mio!”. Paco è tutto uno scodinzolio contento. La zia può mentire a se stessa quanto vuole, ma tutte e due sappiamo che l’entusiasmo di Paco è suscitato dal parmigiano in bilico sul tavolo. Lo allontano con discrezione dalla sua portata, e  non senza un certo senso di appagamento. La zia ci mette due secondi a sopprimere il mio momento di gloria.
« Beh? A che ora torna Quell’altra? » Déjà-vu.
« Non so a che ora tornerà Berenice » Mi stavo già chiedendo quando sarebbe tornata all’attacco, per un attimo ho quasi creduto che avesse iniziato a perdere colpi. Giammai.
Sento improvvisamente una melodia angelica provenire dalla serratura della porta di casa e freno l’impulso di alzarmi e ballare la conga. Berenice è tornata, Berenice ha appena messo piede nell’appartamento…
E tre, due, uno…
« Sempre più tardi! » con il suo solito tono da castrato la zia intraprende la sua trita e ritrita sfuriata sui giovani poco rispettosi, su come sembriamo essere state allevate dai muli, su come le nostre teste sembrano avere una forma fallica, su come i giovani muli dalla testa fallica siano poco rispettosi…
O forse sono io che non presto abbastanza attenzione. Come se mi avesse letto nel pensiero la sua testa quadrata da personaggio di Minecraft fa uno scatto demoniaco nella mia direzione.
« E tu! Sbrigati! Che poi si raffredda e diventa immangiabile! »
Non c’è pericolo.
Ehi, questa è la maxistoria di come la mia vita è cambiata, capovolta, sottosopra sia finita, seduta su due piedi, qui con te, ti parlerò di me, supertappa di Pateeen'.
Giocando a Matrix coi cugini sono cresciuta, me la sono spassata, uhau, che fissa ogni minuto! Le mie toste giornate filavano così, tra una finta sparatoria e Big Bang Theory. Poi la mia pistola, lanciata un po' più su, andò proprio sulla testa di quei vichinghi laggiù. Il più duro s'imballo, fece una trottola di me e la mamma preoccupata disse: "Vattene a Grezzen'!"
L'ho pregata, scongiurata, ma dalla zia vuole che vada. Lei mi ha fatto le valigie e ha detto: "VA' PER LA TUA STRADA!" Dopo avermi dato un calcio e un biglietto per partire, con l'ipod nelle orecchie ho detto: "Qua meglio sgommare!" 
L'Usina: ma è uno sballo! Caffè a venti cent e fortezze di cristallo... Se questa è la vita che fanno a Grezzen' per me... mmm mmm! Poi tanto male non è!
Sono andata in metro rossa con il biglietto collaudato, come in Formula 1 mi sentivo gasata. Una vita tutta nuova sta esplodendo per me... avanti a tutta forza, portami a Grezzen'!
Oh, che smerdola di clima, mi sento già depressa, la vita di prima non puzza più di vecchio, ma guardate ormai gente in pista chi c'è, la supermegatappa, la svitata di Pateen'.