mercoledì 1 ottobre 2014

Let's start again

Non c’è niente di meglio che svegliarsi all’alba quando sai che dovrai essere in università non prima dell’una e mezza. Ahimè, oggi è Giornata di Bonifica: avvenimento nonché festività settimanale inutile come il sale sulla salsiccia. La Zia si ostina a voler chiamare  Maria Antonia, la tipa delle pulizie, almeno due volte a settimana in quanto, a parer suo, da quando ci siamo noi l’ammasso di polvere (magaricifossealmenomifarebbecompagnia) che soleva sonnecchiare sulle mensole di casa sua ha preso una ventina di chili e adesso si chiama Giorgio.  Giorgio a parte, la faccenda ha un che di straordinario considerando che non rincaso mai prima delle sei e mezza di sera, alle sette in punto ceniamo, lavo i piatti e poi vado a letto. Ogni tre giorni sento l’impulso di fare una doccia, ma quello è un vizietto di cui non mi libererò mai. Le uniche faccende che mi permette di fare sono: lavare i piatti, fare il letto, raccogliere i vestiti stesi e pulire il lavandino del bagno (solo quello del bagno degli ospiti). Tutto il resto è proibito. Non posso toccare l’aspirapolvere o una pezza che lei arriva abbaiando come un mastino. Il divieto assoluto si estende agli stracci nello sgabuzzino e al Viakal. Tra l’altro senza Viakal non posso neanche pulire l’unico lavandino che mi è concesso avvicinare.
Ad ogni modo Maria Tizia sarebbe arrivata per le nove e mezza e dato che stamattina avevo un bisogno boia di fare una doccia clandestina, ho dovuto elaborare un piano a prova di Zia per non farmi sgamare. Ho fatto il letto in religioso silenzio prima che lei si svegliasse, così da non dovermela trovare tra i piedi e impiegare quaranta minuti ad allineare perfettamente la balza del lenzuolo con l’asse di rotazione terrestre sotto, neanche a dirlo, la sua stretta supervisione. Ho messo su l’acqua per il tè, unica bevanda insieme all’acqua di cui ho deciso di dissetarmi, dato che ho dovuto fingere di essere intollerante al lattosio per evitare la sorte del Paco (abbottato a lattino a vita). Ho masticato in fretta la mia brioche integrale, preparando l'illegale panino che mi sarei portata in “Fortezza” nella più completa oscurità. E allora è arrivato il momento propizio. Il momento in cui Lei si sarebbe dovuta svegliare per portare giù Paco a fare la sua pisciatina mattutina, lasciandomi venti minuti cronometrati per lavarmi, asciugare i capelli e tutta l’acqua dalle pareti plastificate del piano doccia e da ogni angolo della casa che al suo ritorno, ne ero certa, avrebbe tastato in cerca di prove della mia abluzione. Così, pronta con l’orologio in mano, l’ho fatto, ho dato il via al Segnale. Ho tirato lo scarico del water.
Lo scarico del water è per la Zia come un richiamo spirituale a cui non ci si può sottrarre. Prova che io mi sono svegliata prima di lei e che sono libera di fare quel che voglio senza la sua presenza asfissiante appollaiata sulle vertebre. Eccola che si desta, neanche un secondo dopo, come un cadavere dal sonno eterno. Sollevando il busto con le mani rigide sui fianchi e con un cespuglio di rovi ritti sulla testa piatta. E’ qualcosa a cui non sa resistere. Lei deve venire a vedere cosa sto combinando.
Ogni volta che siedo sul water, anche e soprattutto quando chiudo a chiave, la Zia arriva con l’impeto di una mandria di bufali a scardinare la porta per ficcare il naso dentro e scrutarmi coi suoi occhi rospini. “E allora?” mi chiede sempre con un accenno di svagato interesse. “E allora che cosa?” mi verrebbe da chiederle, dal basso del mio podio. Invece converto l’ostilità in una maschera di immobile indifferenza fino a quando non decide di sloggiare e lasciarmi ai miei espletamenti. La sua manovra successiva è quella di entrare, una volta che ho lasciato il bagno, ad assicurarsi che io abbia lasciato tutto in ordine. Palpa le asciugamani per valutarne il tasso di umidità, tasta i sanitari per stabilire se mi sono lasciata andare ad un lavaggio di troppo e poi scarica, scarica e scarica. Per ore e ore.
Con tutta l’acqua che le ho visto sprecare, in questo anno e mezzo, potrebbero riempirci il Mediterraneo e parte dell’Oceano Indiano.
La sento galoppare nel corridoio. E’ fatta.
Aspetto con infinita pazienza, tra una moina al cane e un rimprovero per essere intollerante al lattosio a me, che abbandoni il suo dannatissimo territorio. Separarsene è per Lei una sofferenza immensa, resa lampante dai sospiri appena accennati e scanditi da qualche “Povera me!” e “Me tapina!”
Sfrutto ogni istante di sua assenza per lavarmi i capelli con lo shampoo che sono costretta a nascondere per impedirle di buttarlo quando è ancora mezzo pieno. E ce la faccio. Missione compiuta.
Sembra non si sia accorta di nulla.
La giornata in università ha avuto, tutto sommato, un risvolto positivo. Ci siamo atteggiate a britanniche snob sbattendo in faccia alla studentaglia affamata i biscotti da tè fatti da Carola. Carla è venuta a trovarci per qualche minuto per deliziarsi insieme a noi di quella valida alternativa al minestrone e ho suggerito a Carlotta di realizzare un fumetto sulle nostre vicende. La Zia ricoprirebbe il ruolo di Cattivone che le spetta di diritto. Insieme all’Andrei. Voldemort dell’Usina e professore di cinapponese, l’Andrei semina angoscia e orrore tra i suoi studenti ignavi (me medesima).
A lezione ho preso appunti obliqui ma abbastanza comprensibili per i miei standard. Il professore Berretto di E. mi ricorda un po’ il Baffo. Stesso fascino da divano di terza mano, stesso monotono e piatto tono di voce, stessa noia. Ma a occhio e croce il Berretto sfoggia più capelli e panza.
Il professor Caio è stato piacevole quanto una sbollentata ai testicoli, ma almeno sappiamo con chi abbiamo a che fare. Abbiamo millemila libri e sospetto che siano tutti soporiferi.
Domani l’Andrei mi interroga, pregate per me.


Amen.